BREVE RIFLESSIONE SUL TESSUTO SOCIALE ITALIANO ALLA SOGLIA DELLE ELEZIONI - Luigi Pinto

BREVE RIFLESSIONE SUL TESSUTO SOCIALE ITALIANO ALLA SOGLIA DELLE ELEZIONI

28 Ago 2022 - Editoriali

BREVE RIFLESSIONE SUL TESSUTO SOCIALE ITALIANO ALLA SOGLIA DELLE ELEZIONI

L’Italia si troverà, tra poco meno di un mese, ad affrontare delle difficili elezioni, che fanno coda a un altrettanto difficile periodo storico, scandito da crisi economiche, politiche, energetiche e da una guerra che ha pericolosamente richiamato ombre del passato.

Ad aggiungere incertezza, un generale malcontento serpeggia nei confronti della politica e delle istituzioni, percepite sempre più distanti e non rappresentative dei cittadini.
Arrivare dunque al 25 settembre, nell’esercizio del diritto (e dovere) di voto, con un’adeguata comprensione della situazione attuale è fondamentale per scegliere il futuro del nostro paese e le mani a cui verrà consegnato.
Non è compito di queste pagine esprimere o tantomeno guidare verso una preferenza, ma ritengo necessario spingere quantomeno a una seria riflessione sul tessuto sociale del nostro paese.
Questo perché, a mia modesta opinione, per essere in grado di discernere e di conseguenza scegliere ciò che per noi sarà rappresentativo (di qualsiasi inclinazione le nostre personali opinioni siano) è imprescindibile una conoscenza – o meglio – una presa di coscienza della situazione sociale attuale in Italia. È necessario conoscere la condizione in cui versa il nostro Stato per identificare i punti prioritari a cui il futuro governo vogliamo si dedichi, secondo la nostra personale scala valoriale.
Numerosi e illustri profili del web e della televisione si stanno con grande cura occupando di fornire le più disparate analisi dei diversi programmi elettorali, delle diverse proposte, dello status dell’economia, dell’istruzione e della società e dei loro destini declinati a seconda della vincita di uno o dell’altro polo.
Ebbene, mi si permetta di partecipare a questa delucidazione per ciò che nel mio piccolo conosco e seguendo un ragionamento tratto da mie personalissime opinioni.
Da pluriennale lavoratore uno dei punti che maggiormente toccano la mia attenzione è sicuramente il nodo occupazione. Tante e diverse sono le voci del coro, da chi dice sì al reddito di cittadinanza a chi dice no, da chi propone incentivi alle aziende a chi le propone per le fasce più disagiate.
La mia considerazione in merito qui sarà molto oggettiva, citando perciò subito i dati, che ci vedono come uno dei paesi in Europa con il tasso di disoccupazione giovanile più alto.
Manca il lavoro, dunque, ma mancano anche i lavoratori, stando ai reclami di numerose associazioni di categoria (dal turismo alla logistica, per citarne alcuni), che sempre più annaspano alla ricerca di personale.
Ed è proprio qui, a questo punto, che l’analisi del nostro tessuto sociale torna utile. Torna utile per porsi la domanda: come mai? Come è possibile che un paese soffra la fame di lavoro ma allo stesso tempo non riesca a colmare i posti disponibili? Dobbiamo ricercare il problema nei giovani, non più disposti a quella che un tempo si chiamava “gavetta”? O forse a una percezione culturale distorta, in cui i lavori manuali sono diventati qualcosa da evitare? O ancora a un’inadeguatezza tra qualifiche e retribuzioni?
Dove stanno gli errori delle politiche sociali ed economiche e quali partiti offrono la migliore soluzione al problema?
Si prenda ad esempio il reddito di cittadinanza: esso è al tempo un buono strumento per aiutare una porzione di popolazione in difficoltà, ma difettoso per le sue lacune, che spesso hanno portato a un aumento del lavoro in nero o ad una assuefazione che causa staticità e passività in chi invece dovrebbe integrarsi nel tessuto produttivo sociale.
Esistono lavori che, come ho già sostenuto in passato, sono da noi ormai socialmente distanti e affidati dunque a operatori stranieri. La cosa non può sfuggire alla nostra analisi, perché racchiude in sé due temi che spesso vanno a braccetto: quello dell’occupazione, appunto, e quello dell’immigrazione.
Ritengo di spendere due ultime parole riguardo questo punto, forse uno dei più controversi delle agende politiche: una questione che professionalmente mi è ben nota da ormai molto tempo.
Premettendo necessariamente che siamo lontani dall’avere una semplice e univoca soluzione e che guai a pensare che un partito piuttosto che l’altro abbia la formula magica in tasca, possiamo quantomeno impegnarci in una riflessione che ci aiuti a comprendere lo status quo.
Starà poi a ciascuno trarre le proprie conclusioni.
Come spesso mi sono trovato a dire è anzitutto necessario comprendere che gran parte del problema risiede nella difficoltà di gestire con efficienza il flusso migratorio.
Non mi soffermerò qui sulle future ondate di profughi attese nel nostro paese, se esse vadano fermate, accolte o quant’altro, bensì sulle persone che già risiedono (anche illegalmente) nel nostro paese.
Una delle soluzioni proposte recentemente dalla politica è stata la sanatoria del 2020, con cui, in parole spicce, si permetteva ai cittadini stranieri irregolari di ottenere un permesso di soggiorno previa un’auto-denuncia del datore di lavoro di lavoro in nero.
Orbene, senza addentrarsi necessariamente nelle problematiche che la denuncia del lavoro in nero porta con sé, è sufficiente una semplice riflessione per capire la fallibilità della cosa.
Uno dei requisiti richiesti da tale sanatoria era la prova di presenza su suolo italiano entro una determinata data, prova possibilmente rilasciata da organismi pubblici (ad esempio, una multa). Ebbene, la quasi totalità delle persone irregolari in Italia non solo potrebbe non essere in possesso di documenti, ma appunto è “irregolare” e dunque di fatto, un fantasma. E come si può pretendere una prova di esistenza da un fantasma?
Gli ostacoli naturalmente sono molteplici e non limitati all’occasione descritta. Le disfunzioni burocratiche sono all’ordine del giorno, causate da una generale impreparazione delle prefetture (l’organo deputato a rilasciare il permesso per il primo ingresso nel paese) ormai intasate e al collasso.

Capire lo stato in cui versa il nostro tessuto sociale è non solo essenziale ma imprescindibile per poter effettuare una scelta consapevole, per capire i programmi dei partiti e consegnare il proprio voto a chi, secondo noi, avrà le giuste priorità. Liberarsi della questione con l’astensione, al grido di protesta, significherebbe solo ignorare lo stato delle cose e sottrarsi a un impegno essenziale della nostra Costituzione. Al contrario informarsi, capire e scegliere con cognizione di causa è quanto di meglio possiamo fare, da cittadini, per il nostro paese.


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