DI GUERRA, PROFUGHI E IMMIGRAZIONE - Luigi Pinto

DI GUERRA, PROFUGHI E IMMIGRAZIONE

4 Mar 2022 - Editoriali

DI GUERRA, PROFUGHI E IMMIGRAZIONE

Sono giorni estremamente difficili quelli che ci ritroviamo a vivere. Giorni in cui è necessario informarsi, ascoltare e capire le ragioni di ciò che di ragionevole sembra non avere nulla.
Le cronache resocontano senza interruzione la situazione in Ucraina e, inevitabilmente, l’argomento è in cima a ogni nostro pensiero e si insinua in ogni discussione. È immancabilmente così quando una guerra ci tocca da vicino. Non siamo ingenui tali da non sapere che la guerra c’è ed esiste ancora nella storia dell’umanità, ma certo ne siamo più impressionati quando la possiamo avvertire, quasi toccare con mano. Chiamiamola pure ottusità o ipocrisia, ma la prossimità territoriale e culturale fa, come sempre ha fatto, da setaccio per il nostro interesse e la nostra attenzione.
Non sta a me e non sarà compito di questo spazio un’analisi geopolitica del conflitto russo-ucraino; lasceremo che a raccontarlo e provare a spiegare i motivi che hanno portato a tale situazione siano pagine e personaggi competenti.
Esso può altresì essere uno spunto di riflessione per capire e interpretare ciò di cui molto spesso si è trattato in questo angolo del web, un focus su una delle tante conseguenze di una guerra: l’esodo delle popolazioni e la nascita di nuovi rifugiati.
Molti articoli hanno già iniziato a riportare della massiccia migrazione dei cittadini ucraini in fuga dal conflitto: le stime dell’Unhcr (l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati) parlano di oltre 500 mila persone – destinate ad aumentare – che hanno raggiunto i confini con le nazioni vicine, Polonia, Ungheria, Moldavia, Romania, Slovacchia. E molti altri sono destinati ad arrivare nel resto dell’Europa, Italia compresa.
Un’ondata di solidarietà, come titolano i giornali, e accoglienza mai viste prima. Ed è proprio qui che intende andare la mia riflessione. Qui, un piccolo dubbio, una domanda inizia a prendere forma nella mente: perché? Perché questa “ondata migratoria”, un termine che solo poco tempo fa scuoteva e divideva gli animi, ora non fa paura? Anzi. Viene accolta a braccia aperte, con ben poche voci contrarie.
L’immigrazione di un’Est Europa è molto più facilmente concepibile e assimilabile rispetto a un’immigrazione extra europea. L’Ucraina è considerata geograficamente parte dell’Europa e, pur essendone ai confini, si avvicina molto sia culturalmente che socialmente a noi. La sua cultura ha con noi un minimo comun denominatore fatto di secoli di tradizione cristiana. Attenzione: non si parla qui di credo religioso, che pure rimane una componente di somiglianza e quindi accettazione, ma formazione storica comune, tradizioni simili, riti sociali simili.
È più semplice, senza scendere in alcuna accezione politica, riconoscersi, vedere sé stessi e dunque provare empatia, per un tale popolo.
La riprova di tali affermazioni si ritrova nella velocità con cui l’Europa si è mobilitata per la prima volta nella sua storia. L’Unione Europea è infatti pronta ad applicare la direttiva 55/2001, che consentirà ai profughi ucraini di ottenere la cosiddetta protezione temporanea, aggirando le procedure per la tradizionale richiesta di asilo e permettendo una rapida accoglienza nei singoli paesi. Fino ad oggi lo strumento è sempre stato negato dall’Europa, si veda il caso di altre crisi umanitarie come Afghanistan o Siria, scatenando non poche polemiche.
L’accoglienza dei profughi ucraini, insomma, è considerata una conseguenza naturale di un aiuto offerto a un paese “simile”, “vicino”.
Ad ulteriore riprova è utile citare i tanti scivoloni mediatici di chi ha parlato di “profughi veri”, di “persone relativamente civilizzate, relativamente europee”, di “gente simile a noi, con capelli biondi e occhi azzurri”. Voci isolate, certamente, ma che esprimono un sentimento piuttosto diffuso: il diverso fa paura. Chi è simile suscita empatia.
Riusciamo ad assorbire meglio questa crisi umanitaria rispetto ad altre non solo perché sentiamo più vicino questo popolo, ma anche perché non ci è totalmente nuova. Dopo la caduta del muro di Berlino si sono verificati con una certa frequenza i primi movimenti dai paesi dell’est. Non solo quindi ciò che è simile è più facile da accettare, ma anche ciò che è conosciuto.
Manca a noi, come a tanti altri paesi dell’Unione, ciò che è accaduto in secoli di storia in stati come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti: l’abitudine. Le ex potenze imperiali e coloniali hanno – per diverse cause – da sempre avuto influenze africane, la qual cosa ha plasmato la loro mentalità fino a condurla a una situazione di accettazione e quotidianità di un tipo di migrazione che noi invece, come popolo, fatichiamo ad assimilare.
Ci troviamo quindi davanti a una strana dicotomia, sintesi perfetta della società attuale, tra un’Europa che accetta senza riserve un tipo di immigrazione “familiare” e un’Europa non del tutto abituata allo “straniero” .

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