EUROPA, GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA - Luigi Pinto

EUROPA, GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA

2 Giu 2022 - Editoriali

EUROPA, GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA

Complice la situazione geopolitica attuale, con una guerra a due passi da casa di portata globale (se per fortuna non nel senso militare, quantomeno in quello economico e politico), la questione “Europa” è tornata a far parlare di sé in modo insistente. Si torna a discutere del ruolo dell’Unione Europea nel mondo, di chi ne fa e chi ne farà parte, della sua credibilità, dell’efficacia delle sue istituzioni e delle sue decisioni.
La domanda che è sulla bocca di tutti ha generato una delle più grandi spaccature ideologiche degli ultimi tempi nella politica di tutto il continente: l’Unione Europea ha senso di esistere? Se si cerca di dare una risposta secca a questo quesito, invariabilmente si finisce per rientrare in una delle due fazioni che si scontrano, ben o male, in tutti i partiti politici nazionali e non: europeisti o anti-europeisti.
Eppure, ritengo più ragionevole pensare che, mai come in questo caso, la verità stia un po’ nel mezzo. L’Europa è un gigante dai piedi d’argilla: grandioso in potenza ma ancora troppo limitato nei fatti.
Molti politici e molte alte cariche dell’UE stanno, negli ultimi tempi, portando avanti una battaglia per rendere l’Europa più unita e coesa. Non da ultimo il neo rieletto presidente francese Macron, che ha evidenziato la necessità di realizzare una Comunità politica europea. O la stessa von der Leyen, Presidente della Commissione europea, che si è recentemente trovata a sottolineare la necessità di un esercito comune.
Ebbene, se personalmente credo più sensato realizzare la seconda ipotesi, trovo invece difficile che l’Europa possa essere omologata dal punto di vista politico, che essa riuscirà mai a parlare una lingua politica comune. Gli Stati membri sono ancora troppo impegnati a guardare ciascuno il proprio orto perché questo vento di rivoluzione trovi modo di soffiare tra le teste di chi governa. Il cambiamento deve partire dai popoli. Fu Gramsci nei suoi Quaderni a scrivere che un popolo, fintanto che resta ignorante, sarà sempre esposto al servilismo e che il modo migliore per dirigere una società è attraverso l’educazione.

Ironia della sorte, però, in questa epoca post-moderna, stiamo assistendo a un impoverimento delle identità culturali, dei valori e delle tradizioni. Siamo di fronte a un analfabetismo funzionale.
Prendendo in prestito le parole del giornalista Federico Rampini, se una guerra ci ha colti impreparati oggi è perché siamo impegnati nella nostra autodistruzione. Il mondo occidentale, di cui l’Europa fa parte, si trova di fronte a un disarmo culturale: non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni. Ci stiamo sabotando da soli.*
Il tentativo di multiculturalismo, come teorizza il giornalista britannico Douglas Murray, ci è scivolato tra le dita (prova ne sono i crescenti gruppi neo nazisti) proprio perché abbiamo deciso di affidare l’integrazione alla “cieca fede nella società dei consumi”.**
L’Europa, ad oggi, è un groviglio di etnie tenute insieme dal benessere. Il motivo che spinge un tedesco a intrattenere rapporti con uno spagnolo, un greco con un francese, un italiano con un belga, è che entrambi hanno un vantaggio di tipo materiale. Ma questo valore, il benessere, è troppo debole da garantire un’unità sentita, un vero senso di appartenenza e fratellanza. Il benessere non può essere l’unico motore che ci spinge a provare amore fraterno verso un paese vicino. Auspicare a trovare, di colpo, uno spirito europeo è inverosimile, è un concetto troppo astratto che non ci appartiene.
Quale può essere allora la scintilla, la causa che ci spingerà a immaginarci come popolo europeo?
Risulterà forse banale, ma credo che la risposta migliore sia proprio uno spirito identitario comune. È necessario che i popoli europei riscoprano il senso di identità, i valori e la storia (millenaria) che li accomuna, che li rende pezzi di un unico grande territorio. Le persone devono essere educate a riscoprire un senso di appartenenza, devono scavare fino a ritrovare quelle radici comuni che, seppellite troppo in fondo, abbiamo dimenticato.

Tempo fa lessi un’intervista al politologo francese Oliver Roy, che definì l’Europa un “progetto politico” fondato su valori condivisi. Ecco, la definizione stessa di “progetto” politico è rappresentativa della sua fragilità. Eppure è vero, l’Unione Europea, di fatto, nacque proprio come un’entità astratta, creata a tavolino per evitare che, dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, si precipitasse in altri conflitti.
I valori condivisi sono ciò che può dare corpo a questo progetto.
Da un punto di vista storico l’Europa ha radici Cristiane. Riscoprirle significherebbe dare un volto al nostro passato e creare un terreno di dialogo comune. Nell’intervista, Roy arrivava a teorizzare la necessità di una “alfabetizzazione religiosa”, per tornare ad abbracciare la nostra identità più profonda e ricomporre di conseguenza la nostra scala valoriale.
Attenzione. Recuperare la cultura cristiana non significa procedere in una crociata del nuovo secolo, imponendo in lungo e in largo un credo religioso. Significa invece riscoprire le radici di un continente. Significa riappropriarsi del patrimonio storico (vastissimo) e delle identità delle culture che hanno contribuito nei secoli a formare l’Europa.

Un’Unione che senta nel profondo di avere un’identità comune da preservare sarebbe in grado di porsi finalmente come potenza a sé stante. Un’Europa coesa e integra nelle sue più profonde radici sarebbe un gigante dalle gambe solide, in grado di assumere un posto in prima fila nella politica mondiale.
Una teoria che credo meriti di essere approfondita.

* Suicidio occidentale, Federico Rampini
** La strana morte dell’Europa, Douglas Murray

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