LO SGUARDO DELL’EUROPA A SUD EST - Il nuovo ruolo della Turchia nel Mediterraneo - Luigi Pinto

LO SGUARDO DELL’EUROPA A SUD EST – Il nuovo ruolo della Turchia nel Mediterraneo

6 Nov 2022 - Editoriali

LO SGUARDO DELL’EUROPA A SUD EST –  Il nuovo ruolo della Turchia nel Mediterraneo

In un calderone di avvenimenti eclatanti (crisi energetica, guerra in Ucraina, pandemia) si sta facendo spazio con sempre maggior insistenza una questione che promette di diventare un nodo importante nelle agende dei governi d’Europa (e non solo): la riscoperta della tendenza egemonica della Turchia. L’impero di Erdogan sta ponendo le basi per una rievocazione nostalgica dei tempi del dominio ottomano, con l’intento di riprendersi un ruolo dominante nel Mediterraneo.
Per iniziare, la Turchia sta cercando di assumere un ruolo sempre più strategico nel delicato equilibrio del conflitto tra Russia e Ucraina, come è possibile constatare dai recenti avvenimenti che l’hanno vista sedere a capo del tavolo delle trattative. Un complesso gioco politico, dove le intenzioni di Ankara sono sempre nebulose, a volte condannando apertamente l’invasione di Kiev e sostenendo la rivendicazione di un paese sovrano, altre strizzando l’occhio a Putin, difendendolo e sottolineando la sua stessa ostilità alla Nato; perché va bene – all’apparenza – difendere la libertà e la democrazia, ma voltare le spalle a uno dei più grandi alleati sarebbe troppo pericoloso.
L’intenzione si rivela indubbiamente nel tentativo di riscuotere un’approvazione internazionale, cercando di emergere positivamente in una situazione complessa e, attualmente, irrisolvibile. Dare prova di essere un Paese eroico, forte e influente, deciso a tornare allo status di grande potenza, che però, attraverso questa mossa, prova a nascondere la polvere sotto al tappeto e a togliere lo sguardo da tutto ciò che ancora la distanzia dagli alleati occidentali.
Non è meno evidente, infatti, il manifesto desiderio della Turchia di entrare a far parte dell’Unione Europea, con una domanda di adesione pendente fin dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999, in cui ha ufficialmente ottenuto lo status di candidato.
Una procedura che trova numerosi ostacoli, viste le ben poche affinità tra il Paese e la Comunità europea, che si trovano su due sponde opposte di un burrone dentro cui giacciono, in particolare, diritti civili e umani.
La Turchia infatti riuscirà difficilmente a realizzare in breve tempo il suo sogno europeo, specie se continuerà ad ignorare i parametri imposti e i criteri fondamentali richiesti per entrare a far parte dell’UE. Più ancora della profonda islamizzazione che sta avvenendo della società turca, più ancora della profonda differenza culturale, storica e valoriale, ciò che rimane inammissibile per l’Europa e per l’opinione pubblica sono infatti le gravi carenze del governo di Ankara sui temi dei diritti umani. Ne è prova esemplare il genocidio armeno, mai riconosciuto dalla Turchia e negato al punto da ricorre, fino a non molto tempo fa, all’articolo 301 del codice penale, che permetteva di perseguire chi pubblicamente ne parlasse.

Eppure le mosse del governo turco non solo mostrano una totale mancanza di flessibilità verso l’Europa, ma svelano un desiderio di influenza sempre maggiore anche nelle questioni che esulano i confini del continente, come dimostrano i nuovi accordi stretti con la Libia, paese già da molto tempo nel mirino di Erdogan.
Già il 3 ottobre scorso il presidente turco ha messo a segno importanti accordi di collaborazione energetica (si parla di petrolio e gas) con il governo di Dabaiba, che hanno destato preoccupazione in numerosi Paesi vicini, primi fra tutti Grecia ed Egitto (ma anche l’Italia non dovrebbe dormire sonni tranquilli, con una crisi energetica alle porte lontana dalla sua risoluzione).
E ancor più preoccupante è la firma sui nuovi protocolli che regoleranno la cooperazione militare tra il Ministero della Difesa del Governo di Unità Nazionale nello Stato di Libia e il Ministero della Difesa Nazionale della Repubblica di Turchia: un importate rafforzamento dell’alleanza con Tripoli, a cui verranno forniti addestramento, armi e droni d’attacco, nonostante la Libia sia ancora sottoposta all’embargo delle Nazioni Unite sulle armi letali. Un vero e proprio schiaffo ai principi dell’Occidente.

Saremo d’accordo, a questo punto, sulla necessità di interessarsi alla questione turca e osservare da vicino le scelte geopolitiche di Erdogan.
La Turchia potrebbe essere un potenziale alleato, comodo all’Italia e all’Europa in tema di energia, risorse e controllo dell’immigrazione, ma è molto volubile. L’affidabilità del governo di Ankara è precaria e, pur riconoscendo la necessità di tessere dei proficui rapporti con il Paese, è perentorio ricordarsi quanto esso possa rivelarsi un falso amico, un partner volubile a cui bisogna evitare di dare troppo corda in mano.
La crescita di potere e di influenza della Turchia è d’altronde incontrovertibile, e questo porta con sé numerose riflessioni. Prima fra tutte la necessità di opporre a una tale pretesa egemonica una potenza che rivendichi e difenda i valori occidentali. Un ruolo augurabile all‘Unione Europea, che però è ad oggi troppo fiacca e divisa per imporsi in modo significativo.
E proprio questo mi porta a una domanda provocatoria e incomoda, che merita in futuro una più profonda analisi: esistono ancora le potenze occidentali?


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