RUSSIA E UCRAINA, LE PROPORZIONI DI UN CONFLITTO CHE RISCHIA DI RIACCENDERE NAZIONALISMI SOPITI - Luigi Pinto

RUSSIA E UCRAINA, LE PROPORZIONI DI UN CONFLITTO CHE RISCHIA DI RIACCENDERE NAZIONALISMI SOPITI

19 Mar 2022 - Editoriali

RUSSIA E UCRAINA, LE PROPORZIONI DI UN CONFLITTO CHE RISCHIA DI RIACCENDERE NAZIONALISMI SOPITI

Non è una novità che il conflitto russo-ucraino rischi di avere risvolti ancor più preoccupanti di quelli in corso.
Non solo a livello economico, cosa di cui siamo ben stati avvertiti, sociale (il numero crescente di profughi sta velocemente rendendo questa crisi umanitaria una delle più grandi dal secondo dopoguerra) ma anche geopolitico.
Se pure non è certa ed è al momento non immaginabile una terza guerra mondiale, ciò che non possiamo ignorare è il riaccendersi di preoccupanti focolai in alcune regioni orientali del continente europeo.
Situazioni di tensione, scaturite da sentimenti nazionalisti, sono presenti da molti anni in zone come Serbia e Georgia, senza dimenticare alcuni episodi non certo irrilevanti delle stesse Polonia e Ungheria.
Alcune ferite, mai rimarginate, del mondo post- sovietico rischiano di riaprirsi.
La guerra che si sta combattendo, insomma, potrebbe generare un pericoloso effetto domino, coinvolgendo tute quelle delicatissime aree che hanno finora mantenuto un fragile equilibrio.
Il paragone più lampante è quello della Georgia, con i miliziani pronti a riprendere lo scontro in Ossezia (e Abkhazia). La storia sembra piuttosto familiare: una regione separatista russofona, satellite della Federazione Russa ma territorialmente della Georgia, difesa dai carri armati di Putin in nome della tutela delle minoranze. Una ferita ancora aperta per i georgiani che ora potrebbero lanciare una controffensiva.
E poi, l’altro grande teatro di crisi, figlio delle guerre jugoslave del 1999: la Serbia e il Kosovo. Una Serbia che, candidata a paese dell’Unione Europea ma di fatto avamposto di Mosca nei Balcani, si ritrova spaccata, indecisa tra il condannare sulla carta l’invasione russa, appoggiando la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu, e il guardarsi bene dall’imporre le sanzioni adottate dall’UE contro Mosca. L’atmosfera a Belgrado è tutt’altro che leggera e si fa sempre più tesa da quando gruppi di Nazionalisti sono scesi in piazza per esprimere la propria solidarietà alla Russia, al grido di “la Crimea è Russia, il Kosovo è Serbia”. Un pericoloso inneggiamento alla ripresa della ostilità e a seguire i passi della Madre Russia.
Lo stesso dicasi per la costola serba in Bosnia-Erzegovina, nettamente schierata dalla parte del Cremlino, che vede il suo leader nazionalista serbo-bosniaco, Dodik, intento a minare la sovranità e l’integrità territoriale del Paese, appoggiando Putin e cogliendo l’occasione per allontanarsi ancora di più dal mondo occidentale, accusandolo di “satanizzare” il popolo russo.
Lo sbocciare, o meglio, il risvegliarsi di tanto nazionalismo in Europa è dato da quello che è stato definito, con acuta precisione, il “modello Putin”. Perché, di fatto, Putin incarna l’unica alternativa, il modello da seguire per chi proprio la democrazia liberale occidentale non la digerisce, un esempio fatto di tradizionalismi, sentimenti ultra nazionalistici e raggruppamento etnico.
Insomma, si prospettano all’orizzonte una serie di micce pronte ad esplodere, che se non disinnescate rischiano di aggravare uno scenario geopolitico già in affanno.
Una frase incredibilmente attuale, eppure scritta da Orwell nella prima metà del ‘900, sintetizza lo scenario odierno: “l’attuale russomania non è che un sintomo del generale indebolimento della tradizione liberale in occidente.”

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